La scorsa estate, presso un terreno dell’azienda agro didattica e
biologica Cascina Zumaglia sito in via Due Bealere, nel comune di Caraglio, si è
svolta la mieti trebbiatura del Barbarià. L’appezzamento in questione è stato
coltivato dalla Fattoria dell’aglio nell’ambito del progetto bio sostenibile e
agro tradizionale della rotazione temporale necessaria per la produzione
dell’aglio di Caraglio. Come è ormai risaputo la coltivazione del nostro
aromatico e gentile bulbo richiede una turnazione minima quadriennale: cioè il
terreno che lo ha ospitato, per i quattro anni successivi, dovrà essere
impiegato per altre coltivazioni o lasciato a riposo, pena la sua buona riuscita
quali-quantitava.
Il progetto, messo in atto con la collaborazione del Consorzio di tutela,
prevede, per l’appunto, l’impiego e la rievocazione, in questa rotazione, di
antiche coltivazioni tradizionali, un tempo presenti nei nostri areali e ora
purtroppo cadute, con i loro sapori, nell’oblio del ricordo.
Una di queste è proprio il Barbarià.
Il Barbarià, appellativo che deriva probabilmente da imbarbarito –
imbastardito, era un’antica tecnica che prevedeva la semina autunnale di una
miscela composta da semi di grano (60%) e segale (40%). La sua coltivazione, nel
1800, era così importante da essere citata nei mercuriali locali,come
“barbariato”, ed era soggetta a tassazione e controllo annonario alla stregua
degli altri cereali. Non è quindi, come credono in molti, la semplice mistura
delle due farine attuata all’atto dell’impasto nel panificio o laboratorio di
pasticceria (la farina di barbarià è ottima nella produzione dei biscotti) dove
i gusti vengono amalgamati artificialmente, ma in campo dove gli aromi e le
particolari caratteristiche scaturiscono anche dalla naturale impollinazione
incrociata delle due razze. Si trattava, allora, di un metodo che consentiva
alla popolazione montana e pedemontana di ottenere una farina da pane più
digeribile di quella che veniva prodotta con la sola segale. Infatti,
specialmente negli anni del 18.mo e 19.mo secolo, a causa delle temperature
rigide che caratterizzavano quell’epoca (piccola glaciazione), la coltivazione
del grano risultava difficile e non tutte le annate erano propizie. L’unico
cereale resistente e che dava raccolti stabili a quelle condizioni era la
segale: ma produceva un pane nero e abbastanza indigesto.
Tuttavia la necessità aguzza l’ingegno e i nostri bravi antenati cominciarono
a seminare un misto di grano e segale cosicché, se l’annata correva favorevole,
alla fine ottenevano una farina particolare, buona e sostanziosa, se, invece,
l’annata risultava difficoltosa e comprometteva lo sviluppo del grano (come
detto più sensibile alle avversità climatiche) raccoglievano comunque la
segale,utile per la loro sopravivenza.
Nella prova sperimentale, condotta dalla nota Fattoria dell’aglio e dal
Consorzio di Tutela, che ha visto la semina sul suddetto terreno (circa una
giornata di terreno) di una miscela di semi di grano biodinamico dell’antica
varietà Gold Corn e di Segale proveniente dall’Austria, si è constatato un
ottimo decorso del ciclo vegetativo (spettacolare l’altezza raggiunta dalle
piante), una importante resa (14 ql.) considerando la produttività di queste
vecchie varietà e la tecnica di coltivazione biologica e, specialmente,
un’ottima qualità del prodotto raccolto. Ora non ci resta che assaporarla,
specialmente nella pasticceria secca.
www.fattoriadellaglio.itLucio Alciati
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